Atanasio “tiene” per la Juve. “Non mi dire nulla contro, eh? La mia squadra è forte”. Sorride un istante: attorno è una esplosione di note che ricordano i vecchi dischi in vinile.
La primavera è tiepida, il caldo è lontano. Atanasio mi chiede di che squadra sia: “Napoli”, dico io. E lui fa spallucce, “Sei bravo lo stesso dai”, e se la ride sotto i baffi. Matteo gli sta accanto ed è simpatica la scena: un ragazzino dagli occhi vivi che quasi si coccola questo “nonno” sconosciuto che ne ha viste tante. Che non ha più una grande voglia di stancare il proprio sguardo.
A San Cosmo ci arriviamo un pomeriggio di qualche settimana fa. Per la prima volta, le fondatrici del “Fan-Gul Team” più proprio Matteo vanno in trasferta ed eccoci qui, in quella che ancora in tanti chiamano “Casa di riposo”. Ci accompagna Lidia: scompare un attimo e si ripresenta in camice bianco, i capelli legati sulla nuca, quasi irriconoscibile. Qui i vecchietti la amano molto: è un’altra persona. La sorprendiamo a cantare vecchie canzoni degli anni Sessanta, a prendersi in giro mentre accarezza i volti di quegli anziani. Benedetta ha la chitarra e si fa coraggio. E le ore volano.
Atanasio mi fa un cenno con la mano e mi avvicino a lui, seguito come un’ombra da Matteo. Siamo lì, un poco, seduti a circolo: tre generazioni che hanno voglia di inventarsi una parentesi di vita in cui incontrarsi. Il mio nuovo interlocutore non invidia la mia mente un poco più lucida della sua, né ha gelosia per la pelle liscia del mio alunno. Noialtri non invidiamo le tante onde che sono passate sotto il ponte di quella quercia d’ossa e pelle gialla. Siamo lì, con la curiosità di chi non si conosce. Siamo lì e parliamo di noi, di ciò che è potuto essere, di quello che forse sarà.
Non so che ci sta una regola con certi anziani. No, meglio: forse lo so anche… ma è tanto tempo che con essi mi confronto poco e spesso da lontano. Sì che ci sta una regola e funzionava anche con Donna Maddalena, mia nonna. E con le signore del nostro vicinato. E con chiunque venisse dal secolo d’oro precedente al mio. Mai parlare di chi non ci sta più, ecco la regola: e io non vado a dimenticarla proprio mentre sto giusto in faccia ad Atanasio? Non ci penso e glielo chiedo: “E sua moglie, da quand’è che non ci sta più?”. Che la mia lingua possa bruciare in eterno.
Ci sono momenti particolari, di quelli che non sembra ma… restano. Non sono nulla di che, per niente particolari. Li vivi pensandoli inutili perfino, che vuoi che siano? E invece no, restano. Atanasio allarga le braccia, “Che vuoi che ti dica… mia moglie l’ho sempre cara”, e assomiglia d’un tratto a un crocefisso laico, umanissimo e impotente. Gli occhi gli si velano di lacrime, il viso è più pallido di prima, la voce gli si impasta in gola. Matteo mi guarda, io faccio finta di non accorgermi del suo disagio. Passeranno trenta secondi ma pare un secolo. Vorrei abbracciare Atanasio.
E invece vien fuori il meridionale che è in me: “Atanà, ma come fate a tifare per ‘sta ladra di Juventus?”. Una scossa restituisce vita a tutti e tre: Atanasio riacquista colore e voce, difende scudetti e derby in chiave bianco nera. Mi dice che devo rispettarla la sua Juve, eh?, che una Signora merita solo onore da un galantuomo come me. Sì, Atanasio: una signora merita rispetto. Soprattutto se è la tua Memoria. Gli do una pacca sulle spalle e lo lascio un poco con Matteo. Poco più in là ci sta un finestrone che dà sulla strada che scende verso il mare. Guardo.
Dabbasso, nemmeno molto lontano, ci sta una specie di campetto e dei ragazzini ci giocano a pallone. La strada supera quel campo di sudore e disegna grandi esse verso la marina. Una strana malinconia ora mi fa compagnia, appena più dolce che non in altre occasioni. Lidia ha già ricominciato il suo personale “San Remo” e alcune signore intonano una struggente “Oh campagnola bella”. Guardo il salone che ospita noi e quegli anziani, cerco con lo sguardo Atanasio: parla fitto fitto con Matteo. Benedetta invece fa mille domande a una signora di Corigliano, Chiara gioca a carte. Le altre danzano tra una ruga e un palmo stanco. Nessuno che mi chieda di andare via, anzi.
La primavera è una tiepida carezza, quel giorno.
(22 luglio 2014 – facebook)