Bentornata normalità. Un Canadair vola su Sibari: l’estate è davvero qui. Gli stranieri tornano il problema numero uno: il Covid è morto.
Andrà tutto bene: ricordate lo slogan tanto caro a quelli che cantavano dai balconi e ci sfracellavano i gioielli di famiglia col tricolore alla finestra? E tutto bene pare che sia andato. Però non abbiamo imparato molto, a fare ora due conti a mente fredda: passata la paura, ecco che la canzone è vecchia e il disco è rotto.
E allora vai con la tarantella. E la musica, appunto, è vecchia. Lo spartito è quello usurato del prima gli italiani. E sono gli immigrati, ancora una volta, a essere il nemico pubblico numero uno di parte della Politica nostrana. Parte il Capitano, segue la scalpitante Scudiera: e via appresso il popolo dei Social.
I toni sono calienti. Qualcuno arriva ad accusare Conte di volere gli immigrati per importare casi di Covid nello Stivale e continuare così ad avere la scusa buona con cui spaventare la gente comune e imporle ulteriori restrizioni della libertà. In un Paese normale una simile teoria avrebbe come eco una pernacchia.
In Italia no, anzi. I cittadini si appassionano alla caccia all’uomo nero ed è una giostra di accuse contro Roma che manco a San Silvestro senti più botti in giro. Sia chiaro: non è che il Governo attuale meriti applausi a viso aperto. Alcuni dei suoi ministri fanno ridere anche le pietre della ferrovia. Tuttavia…
Quando è troppo è troppo. Ed è quanto meno censurabile che, passata la grande paura generale – e con essa l’empatia generale del volemose bene, subito si faccia ritorno a una certa sintassi per cui gli immigrati stanno bene, gli immigrati sono un pericolo, gli immigrati a casa loro… salvo versare lacrime di coccodrillo quando poi, ogni tanto, qualche barcone si rovescia in mare e muore annegata una madre, affoga un ragazzino, galleggia senza vita il corpo di una bambina.
E tutto questo alla faccia dei valori cristiani dei tanti italiani che si scatenano sui Social schiumando una rabbia pari solo alla furia per un parcheggio quando si va a fare spesa. Ma non dovevamo uscire fuori dalla pandemia tutti più… buoni? Già: dovevamo. Però era quando ce la facevamo sotto. Il peggio, ora, è passato.
E noi teniamo famiglia. Abbiamo il nostro orticello, il nostro filo spinato attorno. Il mondo resti fuori. Ma mica siamo razzisti eh? Ragioniamo sulle cose. Perché guardi, a me dispiace pure per ‘sta gente eh: ma mica la possiamo accogliere tutta noi! E poi ‘sta invasione la vogliono i pidioti che ci guadagnano, lo sanno tutti.
Si, il peggio è passato. Siamo tornati alla nostra normalità. Tranquilli, ragazzi, tutto come prima. E bona notte ar secchio.
Lettura della realtà corrispondente al vero, purtroppo.
Ancora una volta hai colto l’essenza della questione. Complimenti
Questo articolo mette il dito nella piaga. Finita la paura si è tornati più cattivi di prima. Oltre a non parlare più di solidarietà
è tornata di moda la caccia indiscriminata agli immigrati, dimenticandoci che al di là dell’appartenenza politica la maggior parte di noi è cristiana e quindi dovrebbe osservare gli insegnamenti di Cristo, cosa che non si fa quasi mai. In conclusione possiamo dire che forse non abbiamo mai avuto fede!!!!
Triste realtà…e costatazione di fatto!
“Dalla Calabria al Pasubio morte di un futurista” è un romanzo commovente, vero, evocativo. Santino Soda, con un linguaggio chiaro e asciutto, va diritto al cuore del lettore e lo conduce nel teatro della grande guerra senza spaventarlo. Affronta il dolore e la sofferenza di quell’orrore con garbo, senza sentimentalismi e con la statura di un eroe … perché di eroi sta parlando.