Un ragazzo muore. E lo riprendono. L’orrore abita qui. Parla la nostra lingua, ha i nostri occhi.
Un ragazzo muore e pubblicano il video del suo addio. Corre tra un telefonino e l’altro il file di questo sfortunato giovane che non potrà più sognare. “Lo vuoi vedere? Te lo mando?”
È uno spettacolo ignobile. Ma che va avanti e si moltiplica. Crudele: di trasmissione in trasmissione, di commento in commento. Come se fosse il film di un evento lontano. O una fiction. Nulla di reale.
Invece è vero. Lo è stato, lo resterà. Quel volto è di un Cristo nato dietro l’angolo di casa nostra. Quel sangue è la nostra saliva che sa di amaro in gola. Le sue urla la nostra preghiera che Dio non ha voglia di ascoltare. E infatti non la sente.
Neppure noi la sentiamo. La fatica della morte non ci frena, non ci ferma. Quei pochi secondi di occhi che chiedono una nuova occasione al Destino non frenano i polpastrelli che ballano sui tasti del cellulare di turno. Sordi, ciechi.
La buca in cui s’è piantata la lamiera del ragazzo diventa baratro, così. E poi voragine che inghiotte il buon senso. E poi calderone che digerisce umanità e anime. Pochi secondi bastano: il cliccare su quel maledetto cellulare. Per curiosità, perché così poi ne so più io di te.
Un ragazzo chiude gli occhi, infine. Non lo senti più il suo rantolo. Passa l’articolo, sfiorisce pure il suo ricordo. Anche quelle maledette immagini finiscono d’essere di moda. Buttate quel video, ora: salvate l’ultimo brandello di coscienza.
Silenzio, dannazione. Se non la Pietà, ci consigli almeno la Vergogna.