Il tuo telefono muto non
è più lama per le mie
carni, ormai. Né m’uccide
oltre il tuo silenzio che
mi urla contro le tue solite
vendette. Accusami di
nuovo, bestemmiami pure
le condanne d’una vita.
Dimmi che se non fummo,
mie sono colpa e croce.
Ma io sono altro. O
altrove. Io sono il Vento:
la passione delle cicale
nel greto del canale dalla
sete millenaria, il canto
stonato delle canne lungo
la ferrovia inutile, il lieve
strisciare della serpe nera
tra le rughe del geco
che non ha il senso del
procedere. Sono questo,
o altro ancora, o nulla
più. Il tempo e l’occasione
che non mi desti. La Luna
di cui più non sai il viso
né l’alfabeto. Io sono il
Vento, e a me non puoi
chiedere il lucchetto o il
confine. Non puoi esigere
null’altro che la direzione
senza direzione, il verso
che non ha verso, la voce
che racconta di silenzi.
Altro e altrove non so
essere né condurti: se pure
tutto questo mi hai chiesto
e vuoi da me, fantasma
del Cuore che fui in una
perduta Primavera…
(21 marzo 2015)