Federica. È da ieri che, d’improvviso, ci penso. Federica che poi è stata Beatrice. Due amanti ignare l’una dell’altra? Magari. No: una bambina. Quella figlia mai arrivata o, meglio, che si fermò un attimo appena alla fermata del treno. Ma ripartì subito, senza neppure un saluto.
Che padre sarei stato io? Me lo chiedo oggi e lo faccio qua. Cesare Pavese lo spiegava bene: uno scrive per due ragioni, due necessità. Vuole parlare a sé stesso e parlare agli altri. Vuole farsi sentire. Stamattina c’è questa domanda che mi scoppia dentro e vuole uscire, vuole squarciarmi le viscere, violarmi il cuore e dissanguarlo infine: che padre sarei stato io?
Chi lo sa. Se mi guardo attorno tremo. Vedo giovani genitori che vengono allevati dai propri figli invece di fare il contrario. O madri e padri che si scannano predicando il motivo più abietto, quel «lo facciamo per i ragazzi» che da solo basta per condannarli all’Inferno. Io sarei stato come loro… o peggio, o meglio?
Ci sono padri che usano i figli come clave. Ci randellano le compagne, ne fanno scempio quando litigano, li usano come sparti-traffico se c’è da fare ordine al loro stesso caos umano. Ci sono madri che dei figli, invece, se ne ricordano solo quando c’è da accampare qualche «diritto» sul posto di lavoro. Per il resto, meno male che i nonni campano cent’anni. Meno male che ci sono loro. Se no, anche le nostre contrade sarebbero una giungla di piccoli, moderni e disadattati «nuovi orfani».
Con un paio di «Hogan» non si va in Paradiso. Né una generosa «paghetta» ci salverà, amici miei. Essere padri, penso, sia un’altra cosa. «Ma che ne sai tu, che non lo sei?». Già, che parlo io… semplice spettatore, inutile censore dell’altrui disagio. «È facile fare parole»: allora mi nascondo, sfuggo alla vista delle macerie che mi fanno da cornice, finanche la mia domanda maledetta mordo e cerco di digerire in fretta. Ma che padre vuoi che sarei stato? Che vuoi che importi a nessuno?
A me importa. E penso… che avrei giocato con mia figlia come uno scemo. Avrei voluto sederle accanto quando avrebbe scoperto il computer. Avrei voluto tanto che amasse leggere. L’avrei accompagnata a scuola, avrei fatto il video delle sue recite… avrei passato una nottata di merda la prima sera, di sabato, che avrebbe fatto tardi con gli amici. E avrei cercato, spero almeno, di saperle parlare. Non «come amico», che mai lo sarei stato: ma «come padre».
Federica si sarebbe chiamata. A volte ci penso e come ora la vista si fa grigia. Quanti anni avrebbe? A chi importa. C’è l’estate che arriva, c’è la Vita che passa. Ci sono i padri dagli sms killer e le madri che sognano di innamorarsi ancora. Che Uomo sarei stato io, se…?
Migliore penso. Senz’alcun dubbio: migliore!
(19 giugno 2011 – facebook)